I Depeche Mode nel 1987: da sinistra, Andrew Fletcher, Dave Gahan, Alan Wilder e Martin Gore
“Odiavo sul serio Basildon. Volevo andarmene prima possibile. Penso che fare parte di un gruppo fosse una via d’uscita. C’era molto poco da fare. È uno di quei posti dove si va a bere perché è l’unica alternativa che c’è” (Martin Gore).
Sono le situazioni difficili, quelle che non offrono comode soluzioni, ad innescare nell’Uomo quel desiderio di riscatto nei confronti della vita.
Così è avvenuto, più di quarant’anni fa, a Basildon, città satellite di Londra che poco ha di idilliaco rispetto alla comune immagine della campagna inglese. Un centro produttivo in grado di offrire lavoro e servizi, ma privo di radici e di quella spinta vitale che alimenta sogni e speranze.
Proprio qui, da un pugno di ragazzi, nasce una delle band più iconiche e influenti di tutti i tempi.
Gli inizi
È il 1980 quando le strade di Vince Clarke, Andrew Fletcher, Martin Gore e Dave Gahan si uniscono: da questo incontro nascono i “Depeche Mode”, la cui originalità è già insita nel nome, tratto da una rivista di moda francese del tempo. Il gruppo porta una ventata di freschezza nella new wave elettronica di fine anni Settanta che, di lì a poco, si sarebbe evoluta nel synth-pop. Grazie ad alcuni brani contenuti in “Speak & Spell” (1981), il loro primo album, la band si fa notare e scala le classifiche. Le canzoni sono accessibili e ballabili (si pensi a “Just Can’t Get Enough” e “Tora! Tora! Tora!”), ma non per questo frivole: nonostante la giovane età, i componenti mostrano grande competenza, anche nella stesura dei testi. Inoltre, la voce di Dave Gahan è ancora oggi qualcosa di unico ed inimitabile: profonda, decisa, coinvolgente, sensuale; un timbro cupo, trascinante, che infonde sicurezza, anche laddove i brani descrivono atmosfere plumbee ed esprimono tormento interiore.
Tutto promette bene ma, nel 1982, Clarke lascia il complesso, soprattutto per opinioni divergenti il genere da proporre nel prosieguo. Così, Martin Gore, che componeva da quando aveva quattordici anni, diventa il paroliere principale; nel frattempo, Clarke viene sostituito da Alan Wilder, abilissimo polistrumentista, che darà un contributo fondamentale in ambito musicale.
La virata dark
L’arrivo di Wilder porta alla sperimentazione di strutture più complesse, con un approccio maggiormente raccolto e interiore. I testi di Gore, così sentiti nella loro immediatezza, si fondono alla perfezione con questo stile, preludio di un progressivo spostamento verso tonalità cupe, industriali, che traghettano il gruppo verso atmosfere underground, in linea con le nascenti tendenze post-punk.
Nel 1983 il complesso si trasferisce a Berlino, ultima frontiera del mondo occidentale e luogo di avanguardia musicale, dove vengono realizzati ben tre album negli Hansa Tonstudio. Il terzo capitolo della trilogia è “Black Celebration” (1986), titolo di per sé già inquietante, che però non ha a che fare con la stregoneria. Si parla infatti di morte, precarietà e disperazione, ovvero quelle sensazioni e preoccupazioni che hanno caratterizzato gli ultimi, terribili anni della Guerra Fredda.
Il primo estratto, “Stripped”, è un capolavoro di suoni metallici, perfettamente incastonati in un testo fra i più significativi della band. Il videoclip, realizzato in una discarica di automobili, si contraddistingue per un’ambientazione fredda, notturna, pervasa da un senso di paura; non è un caso che, al minuto 1:22, compaia sullo sfondo il Muro di Berlino, nervo scoperto in una città lungamente martoriata. Appare quindi chiaro come la canzone sia legata alle tensioni fra Est e Ovest e all’incubo della guerra nucleare.
Depeche Mode 101, copertina LP (1989)
La scalata al successo
Lasciata Berlino, i quattro lavorano ad un ritmo incalzante. Nel 1987 danno alla luce il loro sesto album, “Music for the Masses”, titolo volutamente provocatorio, poiché la musica dei Depeche Mode è sempre stata tutto fuorché una mera operazione commerciale.
Le sonorità dure e introspettive che caratterizzavano “Black Celebration” continuano ad essere in parte presenti, ma si tingono di sfumature più melodiche, oniriche, a tratti epiche, che preludono al fulgore dell’ascesa che sarà di lì a poco.
Grazie a “Strangelove” e a “Never Let Me Down Again”, potenti e trascinanti brani simbolo dell’album, “Music for the Masses” conquista un pubblico nuovo, quello statunitense, entrando di diritto nel panorama musicale internazionale. La consacrazione avviene il 18 giugno 1988 al Rose Bowl Stadium di Pasadena, nei pressi di Los Angeles, quando il gruppo tiene il concerto numero 101, l’ultimo di questo impressionante tour mondiale, davanti a oltre 60.000 spettatori in delirio… concerto che diventerà il primo album dal vivo della band, oltre che un celebre film documentario.
È la “conquista dell’America” e nulla sembra poter oscurare questo momento di gloria. Ma il successo non può placare le angosce che da qualche tempo si insinuano nell’animo dei componenti; avvisaglie che per ora restano nascoste in fondo ad un cassetto.
Foto di backstage, Violator (1990)
L’apice
Passano solo un paio d’anni, ma un nuovo disco è già in arrivo. Il 19 marzo 1990 esce “Violator”, considerato da molti l’album perfetto dei Depeche Mode, un capolavoro che consacra definitivamente la band a livello mondiale.
Registrato per la maggior parte nei Logic Studios di Milano, il disco conserva un DNA underground, ormai marchio di fabbrica del gruppo. Questa volta il synth-pop viene potenziato e arricchito con elementi rock, come testimoniato dall’introduzione della chitarra elettrica; non mancano addirittura raffinate note melodiche e blues. Siamo quindi di fronte ad una sorta di “rock elettronico” molto interessante, di cui si conoscono pochi altri precursori.
Non era un’impresa semplice rendere accessibile un lavoro così eterogeneo ed articolato, ma l’attualità dei temi affrontati viene percepita subito dal pubblico, che accoglie il settimo album con grande entusiasmo. Anche fra i colleghi non mancarono manifestazioni di assenso; a tal proposito, i Pet Shop Boys dichiararono di essere profondamente gelosi di questo lavoro, che aveva alzato – e di non poco – il livello di qualità.
I testi di Martin, semplicemente toccanti, sondano tematiche complesse, quali la forza dell’Amore e la connessione salvifica che esso è in grado di generare fra due individui, la Fede, il dolore, il senso di colpa… e molto altro. Il titolo, ancora una volta provocatorio, è la chiave interpretativa dell’intero disco, poiché allude ad un “trasgressore”, un “profanatore”, per estensione l’essere umano, che, dopo un percorso sofferto, trova il modo di rialzarsi e di continuare a vivere. L’album, in definitiva, è la ricerca di una salvezza più alta, un inno di speranza, un’offerta al cielo.
“Violator” contiene brani iconici che non necessitano di presentazione: “Personal Jesus” colpisce fin dall’inizio per i suoni cadenzati che, in realtà, sono i loro passi pesanti, registrati nella tromba delle scale dello studio milanese; “Enjoy the Silence” è forse il pezzo più celebre, connotato da un’aura solenne, come se permettesse di vivere istanti di pura eternità. Anche il videoclip, diretto dall’amico di sempre Anton Corbijn, è fra i più noti della band ed è entrato nell’immaginario collettivo come metafora di un viaggio interiore, grazie al quale comprendere la compiutezza dell’essenziale.
Foto di backstage, Ultra (1997)
La caduta e il riscatto
Considerando le premesse, “The World Violation Tour” (1990) è un trionfo completo. In realtà, le fatiche conseguenti ai continui spostamenti, le performance estenuanti, unitamente ai dèmoni interiori il cui potere sembra aver preso il sopravvento, gettano il gruppo in una profonda crisi. Nonostante l’instabilità della situazione, nel 1993 viene pubblicato “Songs of Faith and Devotion”, l’ottavo album, nel quale emerge un marcato utilizzo di chitarra elettrica, basso e batteria, dando così forma ad un lavoro in cui risulta predominante la componente rock; per cogliere la differenza con i dischi precedenti basta ascoltare alcuni brani, anche questi di grande successo: “I Feel You” e “Walking in My Shoes”, senza dimenticare l’aggiunta originale di “Condemnation”, magnifico inserto gospel, nonché canzone prediletta da Gahan.
I successivi “The Devotional Tour” e “The Exotic Tour” si rivelano una fatica ancora più grande. A questo punto, neanche una benedizione potrebbe salvare la band da una diagnosi così devastante: esaurimento nervoso per Fletcher, dipendenza da alcool per Gore, tossicodipendenza per Gahan. Il crescente senso di esasperazione che accompagna Wilder lo porta ad una decisione radicale, ossia quella di abbandonare il complesso. La notizia scuote il resto dei componenti; eppure, il malessere che attanaglia Gahan lo conduce nel 1995 ad un tentativo di suicidio, a cui segue, il 28 maggio 1996, un’overdose da speedball (mix di eroina e cocaina); pur essendo clinicamente deceduto, dopo circa tre minuti, torna miracolosamente in vita. Conscio di quanto accaduto, Gahan inizia un rigido percorso di disintossicazione che lo porta ad una completa guarigione. In una toccante intervista del 1997, Dave spiega, con grande sincerità, le circostanze che lo spinsero in quel terribile vicolo cieco.
“Ultra” (1997), nono album di grande potenza espressiva, segna la rinascita del trio, grazie ad un ritrovato equilibrio che consolida l’amicizia di lunga data. “Home”, in particolare, scritta e, in questo caso, anche cantata da Gore, risulta fra le canzoni più emozionanti, testimoniando una rinnovata coesione e un autentico desiderio di identificare un “luogo” in cui sentirsi finalmente bene.
Fotogramma del video “Ghosts Again”, Memento Mori (2023)
I temi
Gli anni a seguire vedono il gruppo impegnato nella pubblicazione di altri cinque album, nei quali vengono sperimentati nuovi stili. Uno dei pregi della band inglese, infatti, è quello di essersi saputa reinventare nel tempo, senza dimenticare la sua identità; anzi, proprio queste “contaminazioni” le hanno permesso di andare oltre, di non rimanere bloccata entro gli angusti confini di un unico genere musicale, di un solo modo di fare e vedere le cose. Un’attitudine che, in opposizione ad una percezione stereotipata della realtà, consente di avere una visuale più ampia e non convenzionale della vita.
Questa caratteristica è sempre stata evidente nella scelta dei temi e nei testi delle canzoni in cui, mai banalmente, si parla di pregiudizi, odio, paure, dipendenze; e ancora di solitudine, morte, condanna, tormento e dannazione, ma anche di speranza, redenzione, perdono, amicizia e legami indissolubili. La religione, in particolare, non viene mai affrontata in modo blasfemo, come potrebbe sembrare; si tratta piuttosto di un approccio non convenzionale, che porta ad interrogarsi, ad esempio, sui concetti di Fede, di Spiritualità e sul modo in cui, ognuno di noi, vi si accosta; tali argomenti rappresentano il substrato su cui si eleva l’intera produzione del gruppo.
Nelle loro poesie, di note e parole, si avverte una grande sensibilità d’animo, in cui appare irriducibile la ricerca di significato in un mondo che, sovente, mette a dura prova.
Gli ultimi anni
Il 26 maggio 2022 Andrew Fletcher, portavoce della band e, da sempre, “elemento” di stabilità, muore improvvisamente nel sonno, a soli sessant’anni. Il triste evento contribuisce ad unire Dave e Martin, i quali, pensando a ciò che li legava a “Fletch”, scelgono di proseguire il cammino. Così, nel 2023, pubblicano il quindicesimo album, “Memento Mori”: nell’antico monito riecheggia la scomparsa dell’amico, ma anche la precarietà dell’esistenza, ben sottolineata dagli eventi pandemici e dalle nuove tensioni socio-politiche che hanno accompagnato la nascita del disco. Ogni traccia appare estremamente curata, con sonorità melodiche e synth-pop, non prive di graffianti innesti “metallici”; ne sono un esempio le splendide “Ghosts Again”, “Before We Drown” e “Always You”.
Con un lavoro di tale intensità, chissà quali altre meraviglie il duo ci riserverà nel futuro. Quanto è certo, è che il sound dei Depeche Mode non smetterà mai di parlare, prima di ogni altra cosa, al cuore della gente, proprio come una luce che, nell’ora più buia, guida attraverso l’oscurità.
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4 risposte
Bellissimo articolo e bellissime immagini, grazie
Grazie a te Nicoletta,
siamo molto contenti che l’articolo ti sia piaciuto!
Grandi i Depeche Mode! Anche Sister of Night è poco conosciuta ma molto significativa. Complimenti per l’articolo!
Ciao Stefano, ben ritrovato!
“Sister of Night” è un capolavoro, uno dei brani più struggenti contenuti in “Ultra”.
Grazie mille per l’apprezzamento: siamo molto felici che l’articolo ti sia piaciuto!