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Barry Lyndon. Il Settecento e oltre

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[Attenzione spoiler]

 

I film di Stanley Kubrick sono sempre fonte di dibattito. “Barry Lyndon” (1975) è stato forse il più apprezzato dalla critica e il meno amato dal pubblico, che spesso continua a ritenerlo noioso. Indipendentemente dai gusti personali, nessuno può negare l’assoluta perfezione tecnica e formale della pellicola, nella quale sono celate tematiche e riflessioni di grande profondità. Nato in sostituzione di un ambizioso kolossal su Napoleone con Jack Nicholson e Audrey Hepburn, che non vide mai la luce, il film ha rivoluzionato i canoni del genere storico, con lo scopo di raggiungere un totale realismo. Alcuni tra i registi emergenti del tempo ne rimasero fortemente impressionati, come Martin Scorsese, Miloš Forman e Ridley Scott. Quest’ultimo, in particolare, lo omaggiò, in modo del tutto originale, nella sua opera prima, “I duellanti” (1977), in cui uno dei temi principali, ovvero il “duello”, viene estrapolato, approfondito e trasposto dal Settecento al periodo napoleonico.

 

La trama

Irlanda, metà del Settecento. Il giovane Redmond Barry, orfano di padre, morto in duello, vive con la madre in un modesto e tranquillo cottage di campagna. Si innamora perdutamente della cugina Nora, che sembra ricambiare il suo affetto, ma che poi finisce per fidanzarsi con il maturo Capitano Quin, ben visto dalla famiglia della ragazza per interessi economici. La gelosia spinge Redmond a sfidare in duello l’ufficiale inglese, un fatto che si rivelerà poi una farsa organizzata proprio per liberarsi del ragazzo. D’ora in poi la vita di Redmond sarà un continuo susseguirsi di peripezie, dall’arruolamento nell’esercito inglese, alla diserzione, al reclutamento forzato nelle fila prussiane, fino all’incontro con lo Chevalier de Balibari, raffinato giocatore d’azzardo. Girovagando con lui per l’Europa, conosce la nobildonna Lady Lyndon, che diventa ben presto sua moglie e gli darà un figlio, Bryan. Raggiunto il successo, Redmond Barry, ora “Barry Lyndon”, non riesce però a gestire le proprie fortune: sperpera denaro e comincia ad essere infedele alla moglie. Entra così inevitabilmente in rotta di collisione con il figliastro, Lord Bullington, e il di lui precettore, il Reverendo Runt. Lo scontro si fa sempre più violento e il declino di Redmond comincia ad assumere tratti tragici…

 

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Redmond Barry (Ryan ONeal) e Nora (Gay Hamilton)

 

Struttura e aspetti tecnici

Kubrick amava il romanzo “picaresco” di William M. Thackeray “Le memorie di Barry Lyndon” (1844), che rispolverava in modo frizzante e ironico il “Secolo dei Lumi”. Il film, diviso in due sezioni, corrispondenti all’ascesa e al declino del protagonista, ripropone di fatto le vicende descritte nel libro, che il regista ha opportunamente compresso e depurato di particolari ridondanti. L’utilizzo del narratore onnisciente, in luogo di quello in prima persona presente nel testo, trasmette una maggiore obiettività, evitando derive farsesche o, al contrario, melodrammatiche. Inoltre, la voce fuori campo interviene sia per evitare lunghe scene espositive dialogate, in un film già di per sé di consistente durata, sia per incrementare la verosimiglianza delle vicende descritte.
Un realismo ricercato in ogni aspetto, a partire dalle ambientazioni, scelte con cura tra gli spettacolari scorci della campagna irlandese, le superbe residenze nobiliari inglesi, come Wilton House e l’iconico Castle Howard, passando per la sobria eleganza teutonica di Sanssouci e Ludwigsburg. Inoltre, balza all’occhio la cura di costumi, trucco, acconciature e accessori, non più strumenti di imbalsamazione per vicende semplicemente “ambientate” nel passato: “Barry Lyndon” non è una vicenda “ambientata” nel ‘700, ma è il Settecento, così com’era davvero.
Indiscutibile il contributo apportato dal cast, in particolare dal protagonista, Ryan O’Neal, inizialmente solo una seconda scelta rispetto al più noto Robert Redford. Nonostante i 250 giorni di riprese e gli innumerevoli ciak per scena, oltre ad una bombola d’ossigeno utilizzata per sostenere l’immenso sforzo, l’esperienza fu per l’attore talmente significativa da rimanerne segnato per sempre, chiamando addirittura Redmond il suo quartogenito.
Tornando agli aspetti tecnici che concorrono, come detto, al realismo dell’opera, molti dimenticano che la “lentezza” stessa del film è in linea con i ritmi del mondo pre-industriale, ancora privi della frenesia moderna. Elemento a tutti evidente è invece la straordinaria fotografia, con un’ardita scelta dell’illuminazione, priva dell’ausilio di luci artificiali. Nonostante al tempo non esistessero obiettivi abbastanza sensibili, l’impresa fu portata a termine grazie ad una lente Zeiss messa a punto per la NASA, così che il regista potesse effettivamente “trasformare” la cinepresa in una sorta di macchina fotografica.

 

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Il giovane Lord Bullington (Dominic Savage) e Lady Lyndon (Marisa Berenson)

 

Riferimenti artistici e musicali

Una serie di fotografie, o meglio, di quadri: in primo luogo questo è “Barry Lyndon”. Quasi ci trovassimo di fronte ad un film muto, dove alla parola vengono preferiti i mezzi espressivi propri delle arti figurative: forme, colori, simboli, posizione di oggetti e personaggi rispetto all’ambiente. Una successione di immagini solenni ed evocative, che incedono in un crescendo drammatico, quasi una “via crucis”, per intenderci.
Innumerevoli le citazioni d’autore, a partire dal semisconosciuto disegnatore e incisore tedesco di origini polacche Daniel Chodowiecki, scelto per la sua semplicità e immediatezza. Seguono poi i protagonisti del Settecento inglese, ovvero l’ironico William Hogarth e i due grandi rivali, Thomas Gainsborough e Joshua Reynolds, indispensabili riferimenti per riprodurre fisionomie, gesti e pose del tempo. Ovviamente non mancano le atmosfere tipiche del Rococò internazionale, con quel misto di spensierata felicità e sottile tristezza che trova in Antoine Watteau il massimo interprete, ma anche alcune oscure suggestioni preromantiche di Johann Füssli. Tutto ciò non è però un semplice riutilizzo formale, perché le relazioni fra i riferimenti e gli elementi iconografici sottendono un percorso, o meglio, un discorso, con il quale è possibile interpretare il film in una chiave ben più ampia di una semplice lezione accademica. Curioso notare come sia presente la palese citazione “fuori tempo” di un’opera che nulla ha a che fare col Settecento, ovvero il romantico “Bacio” (1859) di Francesco Hayez.
La splendida colonna sonora, che Kubrick volle riprodotta durante le riprese, non fa che amplificare le precedenti considerazioni. Realizzata interamente attraverso brani classici, è dominata dalla potenza espressiva della sarabanda di Georg Friedrich Händel, tratta dalla “Suite in re minore n.4” (1733), a cui si aggiungono melodie tradizionali irlandesi, marce militari e brani di Vivaldi, Bach, Paisiello e Mozart. Eppure, anche in questo caso, si nota una palese citazione anacronistica, riscontrabile nel romantico “Trio in mi bemolle maggiore n.2” (1827) di Franz Schubert.
Questo ci suggerisce che lo spettro semantico che stiamo indagando è probabilmente più ampio del Settecento e abbraccia la Storia intera. Un’“amplificazione” del resto sottolineata metaforicamente, a livello di regia, con l’allargamento delle immagini conseguenti al frequente utilizzo dello zoom.

 

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La classe dirigente al tavolo da gioco

 

I riferimenti storici

Con la morte del “Re Sole” Luigi XIV, nel 1715, si chiuse la stagione del vero assolutismo e si aprirono le porte del Settecento vero e proprio, che si concluse con la Rivoluzione Francese nel 1789. Un secolo breve e intenso, torbido e decadente, ma in cui nacquero anche molti elementi di modernità, in ambito economico, scientifico e tecnologico. È però dal punto di vista culturale che si affermò la maggiore novità: la luce della ragione divenne emblema della capacità umana di migliorare la vita e la società, eliminando superstizioni e oscurantismi che avevano così pervasivamente influenzato il passato.
Tutto venne razionalizzato, perfino la guerra, con i reparti ordinati, i ranghi compatti, i soldati ben pettinati e disciplinati, le strategie studiate per minimizzare le perdite. Eppure i conflitti non scomparvero, anzi, lo scontro cardine del Settecento, ovvero la cosiddetta “Guerra dei Sette Anni” (1756-1763), che segnò la vittoria delle moderne potenze emergenti, cioè Inghilterra e Prussia, nei confronti di quelle tradizionali, ovvero Francia e Austria, ebbe proporzioni talmente ampie da poter essere considerata la prima vera guerra mondiale, combattuta anche oltreoceano, come ben descritto dal magnifico film di Michael Mann “L’Ultimo dei Mohicani” (1992). In “Barry Lyndon” tale guerra viene descritta in modo disincantato, per sottolineare le contraddizioni del “culto della ragione” e dei suoi principali sostenitori. Non a caso viene citato esplicitamente il personaggio forse più iconico del “Secolo dei Lumi”, ovvero il re di Prussia Federico il Grande.
Anche la classe dirigente è oggetto di ampia analisi nel film di Kubrick: il Settecento fu un secolo di transizione, in cui l’aristocrazia, incapace di far fronte alla crescente complessità del mondo, rimandava o demandava le questioni problematiche, preferendo abbandonarsi a piaceri e frivolezze, essenzialmente per colmare un vuoto di significato. Una nuova classe sociale stava emergendo, la borghesia, ed è proprio a questa classe che appartiene Redmond Barry. Complessivamente, la ricostruzione storica in “Barry Lyndon” non fa una grinza, ma anche qui compare un elemento palesemente errato, cioè la citazione del “Regno del Belgio”, nato solo nel 1830. Un altro appiglio per uscire dagli stretti confini del Settecento ed andare oltre.

 

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Guerra dei Sette Anni, Battaglia di Minden, 1 agosto 1759

 

Temi chiave

Redmond Barry in fondo è un piccolo borghese, ostinato, intraprendente, che cerca con opportunismo di sfruttare le alterne vicende della sorte per imporsi socialmente e abbandonare così la sua mediocrità. Il suo destino di sconfitta, però, non lo abbandona, impresso fin dal primo fotogramma, in cui il padre perde la vita in duello. Spinto inizialmente da ideali e sentimenti, in una sorta di ardore preromantico, nel suo rocambolesco percorso viene però progressivamente svuotato e distrutto. A ben vedere Redmond non è un tipico personaggio settecentesco, essendo così malinconico, fondamentalmente solo, alla continua ricerca di una figura paterna, schiacciato dalle dinamiche della nascente società “moderna”: un mondo proto-capitalistico, di cui non conosce il funzionamento, descritto in termini di contrapposizioni individuali e collettive. Su queste considerazioni si innestano i due temi fondamentali del film, in primo luogo l’onnipresente riferimento al denaro, elemento cardine della modernità: il duello iniziale è dettato da questioni commerciali, il matrimonio della cugina è combinato per motivi economici, il protagonista prima viene derubato e poi passa a derubare i nobili al tavolo da gioco, poi ancora sperpera la sua fortuna, e ovunque si parla di costi, debiti, salari, vitalizi, etc.
Il secondo, e forse più noto, tema dell’opera, è invece riscontrabile nel duello, il quale altro non è che un tentativo di “istituzionalizzare” la violenza: il film si apre e si chiude di fatto con un duello, le avventurose vicende di Barry prendono avvio da un duello “truccato” e all’interno del film se ne contano davvero di tutti i tipi, da quelli reali, con pistola, spada o addirittura a mani nude, fino a quelli figurati. Scontri individuali che assurgono ad una dimensione universale, giungendo a quel duello su vasta scala che è la guerra. Per utilizzare le parole di Carl Von Clausewitz, “la guerra non è altro che lo scontro di due lottatori: ognuno con l’uso della forza vuole abbattere il rivale, impedirgli ogni resistenza per poi imporgli la propria volontà”. Un duellante, del resto, è rappresentato anche nella misteriosa locandina, volutamente priva della parte superiore, quasi a voler “depersonalizzare” le vicende descritte.

 

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Stanley Kubrick e Ryan ONeal sul set

 

Conclusioni

Il film non parla quindi solo del piccolo borghese, per giunta irlandese, Redmond Barry, visto come un minaccioso intruso dall’aristocrazia britannica. Parla di ogni uomo che, per quanto volenteroso e dinamico, ma in fondo debole e spaesato, cerca invano di “elevarsi”, senza conoscere i meccanismi della società che lo circonda. Sebbene in forme decisamente meno estreme, Redmond possiede infatti la stessa irriducibilità e vitalità “dionisiaca”, per dirla alla Nietzsche, di Alex, protagonista di “Arancia Meccanica”, ma è anche una persona fondamentalmente inadeguata per far parte del sistema; un prototipo malfunzionante, caratterizzato da inaccettabili cedimenti emotivi, siano essi attacchi d’ira o gesti di pietà. Per citare nuovamente Von Clausewitz, “in cose rischiose come la guerra, gli errori che provengono dal buon cuore sono proprio i peggiori”. Eppure la scintilla di vita negli occhi di Lady Lyndon, alla fine del film, ci dice che probabilmente quest’uomo dimostra, nel bene e nel male, o meglio, al di là del bene e del male, di incarnare quello che c’è di veramente nobile, autentico e umano nell’umanità.

 

[Disclaimer]

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