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Inferno. Frammenti di Morte

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“L’unico grande mistero della vita è che essa è governata unicamente da gente morta…”

 

[Attenzione spoiler]

 

La dimensione epica di un film si riconosce quasi sempre dall’incipit, quando ci trasmette quel senso di potenza in grado di trascendere la realtà. Ben Hur, 2001: Odissea nello Spazio, Guerre Stellari ce lo insegnano. Senza scomodare questi mostri sacri, è però innegabile che la maestosa sequenza iniziale di “Inferno” ci metta di fronte ad una sorta di kolossal dell’horror, almeno nelle intenzioni. Per questo il film non poteva che chiamarsi “Inferno”, il luogo dell’orrore per antonomasia. Del resto, il misterioso brano letto durante la sequenza d’apertura, più che l’inizio di una fiaba, ci ricorda proprio quello dell’Inferno dantesco.

 

La trama

La vicenda risulta piuttosto frammentaria ed è difficile stabilire una chiara linea narrativa. Riassumendo, possiamo dire che a New York la giovane di belle speranze Rose Elliott acquista da un antiquario di nome Kazanian un libro intitolato “Le tre madri”, scritto dall’alchimista e architetto Emilio Varelli. Leggendolo, capisce di risiedere proprio nella dimora di una delle tre “madri”, cioè Mater Tenebrarum, e questa scoperta segnerà il suo destino. Prima di morire, riesce comunque a contattare il fratello Mark, che studia musicologia a Roma. Quest’ultimo, dopo aver involontariamente coinvolto nella questione Sara, una sua amica, che sarà brutalmente assassinata, ritorna a New York, nell’antico palazzo dove viveva la sorella, e indaga sulla sua sparizione. Alla fine si ritrova di fronte a Varelli in persona e riesce fortunosamente a fuggire proprio dalla terribile Mater Tenebrarum.

 

I riferimenti letterari

A differenza di “Suspiria”, il film precedente di Dario Argento, “Inferno” non è una fiaba, sebbene la coppia di fratelli Mark-Rose avrebbe potuto far pensare nuovamente al binomio Hänsel-Gretel. Anche se tra le due opere non c’è una reale continuità narrativa, è pur vero che “Inferno” è un sequel, dato che approfondisce suggestioni e tematiche presenti nel film precedente, in una visione concettuale più ampia. Ad esempio, ora possiamo davvero capire perché “Suspiria” è stato chiamato proprio così. Il motivo è rintracciabile nel libro “Suspiria De Profundis”, dello scrittore ottocentesco Thomas de Quincey, quello famoso per le “Confessioni di un mangiatore d’oppio” per intenderci. Nell’ultimo capitolo del libro, l’autore presenta, in forma di sogno, l’incontro con Mater Lacrimarum [Madre delle Lacrime, ndr], Mater Tenebrarum [Madre delle Tenebre, ndr] e Mater Suspiriorum [Madre dei Sospiri, ndr]. Tre “madri”, insomma, che rappresentano altrettante declinazioni della Morte. Una terribile triade femminile, che riecheggia quelle di cui è piena zeppa la mitologia greca e non solo, dalle Parche, alle Furie, alle Gorgoni. Lecito pensare che il nostro caro de Quincey abbia preso spunto da qualche fonte precedente, a partire dalle “Vite Parallele” di Plutarco, in cui per la prima volta compaiono le “madri”, per arrivare al “Faust – Parte II” di Goethe, dove il protagonista scende negli Inferi proprio per affrontare le “madri”, o meglio, per impadronirsi di soppiatto delle “immagini” di Elena e Paride. Cercando di non perderci in questa marea di riferimenti, possiamo prima di tutto affermare che Dario Argento, basandosi su questo materiale letterario, ha approfondito la questione e apportato alcune modifiche del tutto personali, ad esempio ubicando le tre “madri” nelle città di Friburgo, Roma e New York. Ed è proprio così che scopriamo che Mater Suspiriorum coincide con la Elena Markos di cui parlava “Suspiria”.

 

Gli aspetti tecnici

Diciamocelo, “Inferno” è un gran film, ma non un capolavoro. Se la fotografia di Romano Albani dà continuità al lavoro straordinario di Luciano Tovoli in “Suspiria”, altri aspetti non raggiungono la vetta del film precedente: alcune sequenze sono straordinarie, come la celebre comparsa di Mater Lacrimarum durante la lezione universitaria, ma altre sono poco efficaci. Ad esempio, l’assassinio di Kazanian al Central Park ricopre la stessa funzione di quello del pianista cieco in “Suspiria”, ma non riesce a trasmettere la stessa paura e la medesima potenza espressiva. In generale, si percepisce una certa disorganicità, con diversi personaggi che si alternano senza imporsi come protagonisti: se da un lato questa scelta risulta funzionale all’immersione dello spettatore in un vero e proprio girone infernale, senza riferimenti, dove è la Morte ad essere protagonista, dall’altro crea una certa dispersività. Infine, anche il cast funziona solo in parte: Irene Miracle nel ruolo di Rose convince, così come Sacha Pitoëff, nel ruolo di Kazanian, e Veronica Lazar in quello di Mater Tenebrarum, mentre la pur talentuosa Eleonora Giorgi, nel ruolo di Sara, non sembra del tutto in parte, così come non brilla Mark, il protagonista maschile, interpretato da Leigh McCloskey; ottimi invece, anche se in ruoli minori, Alida Valli, Gabriele Lavia e Daria Nicolodi, quest’ultima a quel tempo compagna e assistente del regista.

 

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La musica merita un discorso a parte. L’ambizioso progetto di Dario Argento si basa anche sull’estrosa colonna sonora di Keith Emerson, molto diversa da quella essenziale di “Suspiria”. Nonostante l’impegno del grande musicista inglese, in cui si riconoscono citazioni di Listz, Orff, Prokofiev e Musorgskij, nell’insieme sembra esserci troppa carne al fuoco; straordinario invece l’innesto del “Va pensiero”, elemento che introduce la dimensione “storica” del film, del resto accennata già dall’ambientazione: non più Friburgo, nella fiabesca Foresta Nera, ma Roma e New York, le capitali del mondo antico e di quello moderno.

 

La dimensione storica e filosofica del Male

È nella storia che si perpetua il Male, nascosto e inconoscibile, ma al tempo stesso evidente nelle sue spietate manifestazioni. E allora cosa c’entra il nostro Giuseppe Verdi? Beh, al di là delle interpretazioni più o meno revisioniste del Risorgimento, è innegabile che quel periodo storico sia stato caratterizzato da una spaventosa violenza fisica ed ideologica, troppo spesso dimenticata. Da qui lo scioccante utilizzo del glorioso “Va Pensiero” in un contesto di atrocità.
Oltre alla dimensione “storica”, il “Va pensiero” ci apre le porte anche alla questione “filosofica” del Male. E lo fa non attraverso il suo significato metaforico, legato al Risorgimento, ma tramite quello letterale, cioè riferendosi agli ebrei schiavi a Babilonia. Infatti, è molto probabile che proprio durante la cattività babilonese iniziarono ad essere strutturati gli insegnamenti esoterici ebraici noti come Kabbalah, in cui guarda caso ritroviamo ancora le tre “madri”. Si tratta in particolare delle tre lettere madri, Aleph, Mem e Shin, che corrispondono a tre archetipi, con relativa corrispondenza numerica, ma anche agli elementi aria, acqua e fuoco, nonché ai colori primari giallo, blu e rosso. E se Dario Argento avesse associato a queste tre lettere madri le tre “madri” di De Quincey? Ad esempio, supponendo un’associazione tra Mater Tenebrarum e Mem, si spiegherebbe perché nel film ci sia così tanta acqua e così tanto blu, sebbene il film dovrebbe rappresentare l’inferno. Eh, sì, di acqua ce n’è davvero tanta, a cominciare dalla celebre scena iniziale in cui Rose scende nel sotterraneo inondato, quasi a rappresentare il passaggio in un’altra dimensione.

 

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La prospettiva alchemica

Al di là delle varie supposizioni, l’importanza conferita ai colori e agli elementi naturali ci fa capire che il linguaggio per intendere il discorso filosofico sotteso al film è quello alchemico. Nel film si trova anche esplicitamente la rappresentazione di un laboratorio alchemico, con tanto di diabolico personaggio ai fornelli, che compare nella scena in cui Sara cerca di uscire dalla biblioteca. L’alchimia è una prospettiva fatta di trasformazioni e trasmutazioni, una sorta di fusione tra scienza e magia, di razionale e irrazionale, che cela misteri inquietanti sul nostro mondo. Se in “Suspiria” Dario Argento proponeva due visioni diverse ma complementari, una “psicologica” e una “antropologica”, rappresentate da due distinte figure autorevoli, in “Inferno” la visione alchemica, in cui si fondono le due precedenti, ci rimanda a Varelli, non a caso definito fin da principio “architetto e alchimista”.

 

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Epilogo

Il protagonista maschile, Mark, nelle sue peregrinazioni attraverso il palazzo, arriva proprio al cospetto di Varelli, in una sorta di “non-luogo”, fuori dal tempo e dallo spazio, ma al contempo nelle viscere della terra. Ci si aspetterebbe che, alla fine del percorso, egli incontri il Diavolo, ma Varelli è descritto come il “costruttore” della realtà, un Demiurgo. Siamo quindi di fronte ad un sistema gnostico, in cui il “palazzo-mondo” è l’inferno e in cui Varelli è una sorta di Dio ingannatore, ma che, secondo la lettura di Dario Argento, è stato a sua volta ingannato e reso schiavo dalle “madri”. E addirittura perisce a causa della tecnologia, dando inizio all’apocalittica distruzione del suo “palazzo”. Cosa che suggerisce ulteriori spunti legati al nichilismo, dato che si tratta in fondo della morte di Dio.
Nel finale del film le fiamme ricalcano quelle dell’analogo finale di “Suspiria”, ma non c’è il sorriso di Susy, che aveva il sapore del lieto fine; il grande fuoco conclusivo di “Inferno”, invece, ci lascia solo il senso di onnipotenza della Morte.

 

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[Disclaimer]

La locandina proviene dal sito web https://posteritati.com/ e si può trovare al seguente link: https://posteritati.com/poster/48178/inferno-1980-italian-locandina-poster

Le immagini mostrate in questo articolo provengono dal sito web https://screenmusings.org/ e si possono trovare al seguente link: https://screenmusings.org/movie/blu-ray/Inferno/

Si tratta di immagini protette da copyright e sono qui mostrate a puro scopo esemplificativo, senza alcuna finalità commerciale.

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2 risposte

    1. Grazie mille Stefano per aver condiviso questa riflessione stimolante, che condividiamo.
      Siamo molto felici che l’articolo ti sia piaciuto!

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